DEL SILENZIO E DI ALTRI SGUARDI
Fotografie dai luoghi del terremoto del 1980
Bellizzi, Salerno, 29 giugno 2020.
Nell’arco temporale racchiuso tra lo scritto che segue questa piccola introduzione alla mia serie fotografica e la pubblicazione di questo volume c’è stata la tragedia del covid-19.
Tre mesi molto intensi in cui ci siamo ritrovati a dover rinunciare alle nostre libertà individuali in nome del bene più prezioso che abbiamo: la nostra salute.
Si è fermato il paese, si è fermato il mondo.
Nel volgere di poco ci siamo sentiti fragili, vulnerabili, impotenti di fronte ad un nemico invisibile.
Mentre nelle corsie degli ospedali si combatteva, in situazioni di emergenza totale, per salvare vite umane, e dico grazie di cuore al personale medico ed infermieristico di ogni dove, noi siamo rimasti a casa cercando tra le mura domestiche di ritrovarci, di ritrovare un senso di appartenenza e, fuori da ogni visione demagogica, il viaggio nei luoghi del sisma del 1980 mi ha restituito l’amore incondizionato che nutro per queste terre.
Se devo trovare un motivo in più che mi rende orgoglioso di questa pubblicazione è l’idea del ritorno alla vita, agli affetti, a tutto quello che abbiamo sempre considerato come qualcosa che c’è e che nessuno può toglierci...
Il terremoto è un’altra forma dello stesso dramma, è l’attimo in cui tutto scompare e capisci che nulla tornerà più come prima. Un tragico “reset”.
Oggi a distanza di quarant’anni da quel 23 novembre 1980 la ricostruzione ci presenta un paesaggio nuovo, la vita ha ripreso a correre ed insieme ai problemi di sempre tanta bellezza è rifiorita.
Teora, 27 novembre 2019.
Fa freddo, c’è vento, la luce non è quella buona per fotografare. Più adatta alla contemplazione, al pensiero, al semplice guardare. C’ero già stato qui, nell’estate del 2018; l’atmosfera era diversa, come i colori, ma non il senso di profonda solitudine e di vuoto. Poche le persone incontrate durante il cammino.
Mi sono affezionato a Teora, tra tutti i paesi che hanno vissuto sulla propria pelle la distruzione, i lutti e la successiva ricostruzione dopo il sisma del 23 novembre 1980.
Nella parte alta del paese ci sono i resti dell’antica chiesa dedicata a San Nicola di Mira. In adiacenza la nuova chiesa, imponente cubo di cemento dalle forme razionali e prive di ornamenti. L’ambiente nuovo mi sembra la proiezione in un futuro apocalittico della pittura di Giorgio De Chirico. Andando oltre, superando non senza fatica la salita, si arriva all’area del Castello, del quale non rimane alcuna traccia visibile. Qui è stato edificato un grande cubo cementizio, formato da quattro palazzine moderne di tre e quattro piani. L’ambiente è sempre lo stesso, austero, rigido nelle sue scarne linee architettoniche, sensazione che trova conferma anche nell’organizzazione degli spazi esterni aperti sullo struggente paesaggio di fondo valle. Un ascensore moderno, di costruzione più recente, credo mai entrato in funzione, collega la parte alta del centro Irpino con quella bassa.
La nuova “identità” di Teora, come di Conza della Campania, di Lioni e di Laviano (SA), nulla ha a che fare con quello che la storia aveva edificato in questi luoghi, anche se molto è stato recuperato e riportato alla sua bellezza originaria.
“In pochi secondi un terremoto di forte intensità non distrugge solo affetti e legami. Può azzerare secoli di storia, stravolgere culture, tradizioni, attività produttive. Non è solo a livello individuale che il terremoto, anche quando non priva della vita, ne stravolge il senso. Questo stravolgimento avviene anche a livello collettivo. Il terremoto irrompe nella vita di una comunità, spezzando i legami fra gli individui, tra i gruppi, con la società, con la memoria e può cambiare il destino di un paese”. (Prof. Ing. Teresa Crespellani - Festival Scienza - L’alfabeto della Scienza - V Edizione - Cagliari, 6 - 11 Novembre 2012)
Ho cominciato a fotografare questi luoghi due anni e mezzo fa circa, insieme all’amico e fotografo Pio Peruzzini.
La spinta emotiva, l’amore per la nostra terra, il nostro sud, per i paesi dell’interno del nostro territorio, sono la base sulla quale si poggia tutto il mio lavoro.
Non è fotografia documentaria, non sono partito per questo “viaggio” con una idea precisa sul cosa fare. Avevo in mente il come ed anche il perché ma non il cosa. E devo dire che lasciare in sospeso questa parte legata alla progettualità è stata una scelta che mi ha aiutato. Una scelta di libertà nel mio rapportarmi con i territori che di volta in volta mi sono recato a fotografare. La libertà di annullare me stesso di fronte al paesaggio. Di non cedere alle lusinghe della sua bellezza, non dimenticando, al tempo stesso il cuore.
Questo è un viaggio di conoscenza, un tentativo di comprensione reciproca tra me e il luogo, di partenze per mete mai raggiunte. È la semplicità di ciò che ci circonda, la sua bellezza e le sue contraddizioni e fragilità.
Siamo figli di questa terra, siamo parte di queste storie come del silenzio e di altri sguardi.
Gaetano Paraggio